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mercoledì 7 marzo 2012

Scopriamo come si usa l'oro per migliorare la salute


Nella medicina tradizionale indiana, nota in tutto il mondo come ayurveda, si contempla l'utilizzo di alcuni metalli per guarire determinate patologie. La preparazione di queste sostanze richiede tecniche accurate e precise, per far sì che il metallo perda la sua tossicità e acquisti una nuova capacità di interagire a livello biologico. Esploriamo il mondo della preparazione dei bhasma, come vengono chiamate queste preparazioni, a metà strada tra erboristeria, farmacologia e alchimia.
Swarna Bhasma, letteralmente polvere d'oro, ma anche oro calcinato. E' questo il nome di uno dei più antichi rimedi dell'ayurveda, la scienza della vita, la medicina tradizionale indiana ormai diffusa in tutto il mondo. L'arte di produrre rimedi con l'uso di minerali o metalli, specialmente quelli rari ridotti in polveri impalpabili, ha alle spalle una storia di diversi secoli. Troviamo le prime testimonianze già nel Charaka Samhita, uno dei testi più importanti della medicina tradizionale indiana datato intorno al II-III secolo a.C., sebbene le testimonianze storiche ci dicono che già molto prima di allora, a partire dal 2500 a.C., in Cina si preparavano elisir di lunga vita a base di oro.
Nei testi indiani si descrive ad esempio la preparazione del lauhadi rasayana, una miscela di ferro con estratti di altre tre piante utile per aumentare la forza di chi lo assume, migliorare la concentrazione, la memoria, aiutare lo studio e la lucidità mentale. Se ne descrive il metodo per ottenerlo, facendo scaldare la limatura di ferro fino al colore rosso vivo, miscelandola poi con gli estratti vegetali, fino a quando le particelle di ferro non vengono assorbite dal mezzo liquido. Il prodotto così ottenuto veniva conservato con miele e ghee (burro chiarificato) e manteneva inalterate le sue caratteristiche per almeno un anno. Non di rado era contemplata l'aggiunta di particelle di oro o argento, per rendere il rimedio più efficace.
La produzione di bhasma, ovvero di ceneri attive di metalli così come la conosciamo e come viene realizzata tutt'oggi, risale al VII secolo d.C. Si tratta di rimedi preparati tramite la combinazione di metalli o minerali e decotti o succhi di erbe, sottoposti ad un regime di calore somministrato secondo tempi e modalità ben precise. Secondo studi recenti, ciò che accade in seguito a queste procedure è la riduzione del metallo in nanoparticelle, qualcosa di simile alle attuali nanotecnologie. E' proprio questa micronizzazione che rende possibile l'assorbimento del metallo, ne annulla la tossicità e favorisce così la manifestazione di proprietà salutari e terapeutiche.

La preparazione dei bhasma viene tradizionalmente effettuata secondo due procedure: il metodo putapaka e il metodo kupipakwa. Nel primo caso il metallo viene sottoposto a tre fasi, che ricordano da vicino i procedimenti alchemici descritti nei testi medievali occidentali. Inizialmente il metallo è ridotto tramite continuo e ripetuto martellamento in polvere grossolana, quindi viene scaldato in un crogiolo per la purificazione (shodhana) fino a colore rosso vivo, dopodichè viene disciolto in un determinato liquido. Nel caso specifico dello swarna bhasma, la limatura d'oro dopo essere stata scaldata alla fiamma fino al colore rosso, viene immersa per sette volte in ognuno dei seguenti liquidi: olio di sesamo, siero di latte, urina di vacca, acqua contenente amido di riso ed estratto acquoso di Dolichos uniflorus (sin. Macrotyloma uniflora), una pianta della famiglia delle leguminose. Così trattato, il metallo viene miscelato con altre sostanze vegetali e quindi posto a bagno in un ulteriore mezzo liquido, mantenuto in continuo movimento così da levigare e disciogliere il metallo stesso (bhavana). Il risultato delle prime due fasi è una massa amorfa in cui il metallo appare ormai perfettamente amalgamato con il resto degli ingredienti. Questa massa viene suddivisa in pallottole tonde che vengono a questo punto poste in un crogiolo di terraglia (sarava samputa) nel procedimento tradizionale, oppure in una capsula per calcinazione nei procedimenti più moderni. Il crogiolo o la capsula vengono così sigillati con al loro interno le pallottole e quindi scaldati in una muffola elettrica oppure nel tradizionale puta, particolare fornace a calore continuo, da cui il nome del metodo putapaka. Il materiale viene scaldato all'interno del crogiolo per un tempo predeterminato per poi essere sottoposto ad un graduale raffreddamento, seguendo così dei precisi intervalli di riscaldamento e raffreddamento. Il procedimento qui sommariamente descritto viene ripetuto per un certo numero di volte e la cenere ottenuta costituisce il rimedio attivo: il bhasma.
Come detto esiste un secondo metodo di preparazione dei bhasma, chiamato kupipakwa, che contempla un ulteriore fase intermedia rispetto a quanto appena descritto. Dopo la prima fase di riscaldamento del metallo e la miscelazione con l'estratto vegetale, la massa ottenuta viene amalgamata con mercurio e zolfo. La massa viene lavorata fino a che abbia una consistenza scura e opaca (kajjali), viene poi essiccata completamente, posta in una bottiglia (kachkupi) e ricoperta da diversi strati di stracci trattati con impasto di terra e acqua. La bottiglia così preparata viene sottoposta quindi ad un bagno di sabbia riscaldata per un certo periodo, per essere poi rotta dopo raffreddamento. Il prodotto ottenuto per sublimazione viene raccolto dal collo, mentre il bhasma è depositato sul fondo, raccolto e poi ridotto a polvere impalpabile.
Questi complicati processi hanno lo scopo di rendere biodisponibili e biologicamente attivi i metalli. I ricercatori hanno potuto infatti constatare che la ripetizione continua di queste fasi, grazie ai cicli di riscaldamento e raffreddamento li rende più fragili e meno tenaci, capaci di essere ridotti in microparticelle tramite ripetute polverizzazioni con mezzi meccanici. Durante le prime fasi del processo il continuo lavoro di mortaio e pestello a cui è sottoposta la massa del metallo già preventivamente scaldato e raffreddato e ridotto in particelle più piccole, è agevolato dal mezzo liquido, che contribuisce a ridurre le particelle metalliche ad un minore diametro. Il riscaldamento in piena aria peraltro favorisce l'ossidazione del metallo e la sua conversione in composti più semplici e facilmente lavorabili, mentre il processo di calcinazione, ripetuto diverse volte, è in grado di produrre nanoparticelle. Se il procedimento viene seguito in maniera corretta ciò che si ottiene è il metallo allo stato elementare, una forma facilmente assimilabile dal corpo umano e biologicamente attiva.

La produzione dei bhasma, che come abbiamo visto prevede un processo di produzione rigidamente codificato, deve sottostare anche ad una serie di test che ne convalidano la buona riuscita, fondamentale affinché il rimedio sia efficace ma anche privo di tossicità. Innanzitutto si valuta il colore, che è specifico per ogni preparazione e per ogni fase di essa. Il bhasma deve essere poi privo di lucentezza, caratteristica tipica dei metalli, che qualora sia presente nel prodotto finale significa che ulteriori calcinazioni sono necessarie affinché essa venga eliminata. Ancora viene testata la capacità di galleggiamento della polvere ottenuta, che deve essere evidente quando questa viene posta su una superficie di acqua ferma, ma anche la capacità di un chicco di riso poggiato sullo strato di polvere sparso sulla superficie dell'acqua di affondare o meno. Il bhasma che galleggia perfettamente sul pelo dell'acqua e che non lascia affondare il chicco di riso poggiato delicatamente su di esso è considerato di qualità eccellente. Per testare la granulometria, che deve essere la più piccola possibile al fine del miglior assorbimento nel corpo, una piccola quantità di bhasma viene strofinata tra pollice e indice e viene valutata la capacità di riempire i solchi delle impronte digitali, una caratteristica considerata necessaria. Numerose altre prove vengono effettuate per testare che il prodotto non provochi reazioni allergiche a contatto con le mucose, per testarne l'assenza di asperità nelle microparticelle, per verificarne il gusto. Esistono anche una serie di test chimici che servono a verificare, con metodi più moderni, che il bhasma abbia le caratteristiche ricercate. Si prova soprattutto l'assenza di particelle metalliche ancora integre e l'assenza di reattività con altri metalli. Nel controllo di qualità dei bhasma è di fondamentale importanza verificare l'assenza di altre sostanze minerali e di eventuali metalli pesanti o tossici, come ad esempio il mercurio che può entrare nel processo produttivo.

Ma quali sono le proprietà dei bhasma e in particolare dello swarna bhasma? Nell'ayurveda viene considerato un rimedio dolceamaro, di natura calda e pesante, avente proprietà immunomodulanti, anti-invecchiamento per eccellenza, toniche e rinvigorenti, diaforetiche, capace di stimolare il metabolismo di specifici organi quali stomaco, pelle e reni, afrodisiache, oltre che in grado di agire come vettore per altri medicamenti. E' utilizzato nel trattamento di patologie quali senilità, tubercolosi, diabete, anemia, edema, epilessia, malattie della pelle, debolezza generale, asma e problemi cardiaci, dispepsia con dolore epigastrico e feci sciolte. I vaidya, i medici dell'ayurveda, tengono in grande considerazione questo rimedio come un prezioso tonico del sistema nervoso ed antidoto per le intossicazioni, specialmente se di origine batterica. Generalmente viene usato in combinazione con altre erbe, diverse in base alla patologia da trattare, a cui viene mescolato estemporaneamente in un mortaio fino ad amalgamarne le polveri.
In caso di mancanza di appetito, tosse, asma e anemia, viene combinato con zenzero essiccato, Piper longum e polvere di pepe nero. In caso di febbre cronica viene miscelato con abhraka bhasma (cenere di mica) e miele, mentre in presenza di problemi di cuore è aggiunto al succo dei frutti di aamla (Phyllanthus emblica). Per aumentare forza ed energia in soggetti debilitati è usato insieme al latte oppure con il ghee, il burro chiarificato, per migliorare l'aspetto della pelle insieme all'estratto di Nelumbo nucifera. Per trattare la tubercolosi è aggiunto ad una miscela di burro, zucchero e miele, mentre come afrodisiaco è impiegato insieme a Pueraria tuberosa. Alcuni autori lo ritengono molto efficace in questo ambito, capace di trattare l'impotenza maschile, di contrastare l'eiaculazione precoce e anche di aumentare la quantità e la qualità degli spermatozoi.
Si tratta di assunzioni a dosaggi molto bassi, in genere pari a poche decine di milligrammi al giorno. Questo perchè si tratta, ce lo dicono gli stessi testi indiani, di un'azione catalitica a livello cellulare, un meccanismo assimilabile alla oligoterapia di stampo occidentale (che peraltro usa metalli allo stato colloidale) e al funzionamento di farmaci ottenuti con nanotecnologie. Come in questi ultimi casi i bhasma sono del tutto biodegradabili e biocompatibili, assolutamente atossici, hanno una grande specificità essendo in grado di agire direttamente su un certo target enzimatico o cellulare, soprattutto sono capaci, grazie alle piccolissime dimensioni, di attraversare la barriera ematoencefalica così come di essere convertiti dagli enzimi digestivi in composti solubili, il che ne permette un rapido ed efficace assorbimento organico. Quest'ultimo dato, scientificamente dimostrato, è di fondamentale importanza, perchè rende il rimedio attivo anche a microdosi di per sé incapaci di provocare alcun effetto collaterale.
Nella preparazione dello swarna bhasma, il processo tradizionale descritto è in grado di ridurre il prezioso oro a particelle non più grandi di 57 nm, oltre cento volte più piccole di un globulo rosso umano.
Lo studio scientifico dello swarna bhasma tal quale non è semplice perchè essendo questa cenere insolubile difficilmente si possono attuare i metodi di ricerca comunemente utilizzati. Tuttavia alcune proprietà sono state confermate con l'analisi di preparati di oro in nanoparticelle (come quello colloidale) di dimensioni paragonabili a quelle del bhasma tradizionalmente ottenuto. Questi preparati sono ad esempio in grado di contrastare i sintomi dell'artrite causata da vari fattori oppure di esprimere attività tonica e antiossidante, capace di ridurre i danni dovuti ad ischemia. Studi condotti sull'oro colloidale nella prima metà del XX secolo hanno dimostrato che esso è in grado di contrastare l'insorgere di crisi epilettiche, di combattere la neurastenia e la dipendenza da oppiacei. Come nel caso dei bhasma, quando si usa oro allo stato colloidale esso perde la tossicità che ha allo stato metallico, con sintomi che ricorderebbero invece l'avvelenamento da arsenico.

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